Continua l’avventura di Riccardo Prati in moto, un racconto appassionato tratto dal suo libro.
La chiamano l’isola dei sogni o l’isola dei surfisti, attratti dal clima temperato e dalle grandi onde oceaniche alimentate costantemente dagli Alisei.
C’è chi ha venduto tutto per venire a vivere qui, c’è chi vive di surf e per il surf, c’è chi vive qui anche se non potrebbe permetterselo, c’è chi parla solo di Fuerteventura, c’è chi sverna e c’è chi si gode la pensione, ci sono i nomadi digitali, gli amanti dello yoga, i camperisti da mezza Europa, gli hippy 2.0 con prole e perro (cane). E c’è anche qualcuno del posto. Un melting pot italoiberico in salsa sudamericana.
Io ci sono capitato per caso, per andare a trovare Lucio, compagno di università che non vedevo da vent’anni. Poi è arrivato il lock-down e sono rimasto bloccato qua, nell’isola felice, in questa sorta di gabbia dorata e ventosa.
Sarei dovuto partire per l’Australia, in moto, attraversando l’Europa dell’est, le ex Repubbliche sovietiche, la Mongolia, la Cina, l’Estremo oriente e l’Indonesia.
E invece eccomi a Fuerteventura, la seconda isola più grande delle Canarie, a soli 100 chilometri dalla costa africana, dichiarata Riserva della Biosfera dall’UNESCO.
Lucio mi ospita per qualche giorno poi mi metto alla ricerca di un appartamento da affittare per i prossimi mesi, operazione mai banale alle Canarie. Visito El Cotillo, piccolo villaggio di pescatori sulla costa nord-ovest, famoso per i magici tramonti e per il Castillo del Toston che un tempo proteggeva la costa. E mi innamoro subito. Del villaggio e di una villa che domina il vecchio molo, costantemente battuto dal vento e con le onde che quasi bussano alle porte dei ristoranti tipici. Ralf, il padrone del maniero sul cui tetto sventola la bandiera dei pirati, è un attempato giramondo e affitta alcuni appartamenti in cui la villa è divisa; sembrano grotte, arredate elegantemente con cimeli africani.
E’ il posto per me ma temo sia fuori budget; inizia così una lunga contrattazione con Ralf , entrambi abituati alle infinite trattative tipiche dei paesi arabi. Al punto di non ritorno mi dice: “Tengo que alimentarme” (anche io devo mangiare). Ok, affare fatto, per qualche mese questa sarà casa mia.
Dall’italia gli amici mi chiedono se anche qua sia obbligatoria la mascherina: ma quale mascherina, qua non si mettono nemmeno le mutande! Scherzi a parte siamo in territorio spagnolo ma i contagi sono sotto controllo; tutte le attività sono aperte e per lo più all’aperto e la mascherina se pur obbligatoria è un optional come del resto le mutande, essendo il nudismo molto praticato.
Quando tramite un gruppo facebook provo a organizzare una partita di calcetto c’è chi mi prende in giro: “Dove credi di essere, qui siamo tutti surfisti!”.
E anche le motociclette sono piuttosto rare: se noleggiare un’auto costa solo 8 euro al giorno, una moto ne costa oltre 100. La spietata legge della domanda e dell’offerta.
Poco importa, scelgo la moto per un paio di giorni, il tempo necessario per fare il tour dell’isola. A Corralejo, importante località turistica che ha però mantenuto parte del suo fascino, ritiro una fiammante Honda CRF 250.
Oggi il cielo è nuvoloso ma come spesso accade in questo periodo dell’anno sprazzi di sole e pesanti nuvole si alternano ora dopo ora.
Voglio iniziare con un po’ di sano sterrato e lo trovo subito a sud ovest della città dove imbocco una pista larga con curve rotonde e in leggera salita, a sinistra una serie di coni vulcanici, il Volcan de Bayuyo, la Caldera Encantada e Las Calderas. Il panorama è fantastico, gli scuri colori vulcanici contrastano con la sabbia bianca che si scorge in lontananza nella costa nord.
Incontro escursionisti in mountain bike, a piedi e in quad e tanti simpatici scoiattoli che corrono spaventati. Poi la pista scende lentamente e sulla mia destra compaiono il vulcano Calderon Hondo e la Montagna Colorada. Un breve trekking per salire sull’orlo del cratere e poi a tutto gas fino a Lajares, il villaggio degli artisti, dall’atmosfera rilassata con eccentrici negozi di artigianato, bar e ristoranti gourmet.
Poi punto a nord, pochi chilometri in discesa, all’orizzonte l’isola di Lanzarote ed eccomi a Majanicho, minuscolo villaggio di pescatori con pittoresche barche che beccheggiano sull’acqua. Una deviazione di 4 chilometri fino alla famosa “pop corn beach”: il corallo bianco viene sbriciolato dal continuo moto ondoso e i frammenti portati sulla spiaggia assomigliano a pop corn. Si torna indietro, la pista è parallela al mare, baie di roccia nera si alternano a spiagge di sabbia bianca molto ambite dagli amanti del windsurf e del kitesurf.
Il “tole ondulée” mette a dura prova le sospensioni quando in lontananza appare il faro del Toston, a striscie bianche e rosse, imponente, con l’adiacente museo della pesca tradizionale. Costeggio poi le spiagge di El Cotillo, tutto sterrato fino alla Playa de Esquinzo una delle più gettonate per il surf.
È ora di lasciare il mare e di addentrarsi nel Barranco de Esquinzo, formato da burroni e piccoli canyon dove riesce a sopravvivere anche qualche timido palmeto. La guida è piacevole e non troppo impegnativa e dopo qualche stop fotografico sono a Tindaya con la sua montagna alta solo 400 metri ma la più importante e famosa dell’isola per le sue pitture rupestri e per i poteri magici che le vengono attribuiti. Ho fatto solo una cinquantina di chilometri, quasi tutti di pista, e sono già entusiasta per la varietà di paesaggi che Fuerteventura mi sta offrendo.
A La Oliva visito l’imponente chiesa e il Centro de Arte Canario per poi proseguire decisamente in direzione sud. Inforco la FV207 che mi proietta nel centro dell’isola, in una grande e arida valle delimitata da coni vulcanici e qualche finca.
A Tefia mi fermo all’Ecomuseo la Alcogida che ricrea la vita rurale tradizionale e al vecchio mulino a vento. Volendo si può fare una sosta nella sonnacchiosa Antigua ma io preferisco proseguire, iniziano alcuni tornati e si sale in quota fino al Mirador de Morro Veloso che offre una vista stupefacente sul desolato paesaggio lunare che si stende a perdita d’occhio. Poi scendo fino a Betancuria, grazioso paesino immerso nella vegetazione, tanti muretti a secco, palme e case rurali imbiancate a calce. Proseguo sulla FV-30, uno dei tratti più spettacolari dell’isola con la strada che si inerpica zigzagando tra cime vulcaniche e campi lavici.
Arrivo a Pajara, oasi verde che compare inaspettata e svolto verso la costa, seguendo il sinuoso corso di un fiume secco ricco di palmeti e di piccoli villaggi che mi ricordano tanto il Marocco. Dopo nove chilometri sono a Ajuy, località famosa per la sua spiaggia di sabbia nera e le sue grotte sul mare. Trovo una sistemazione dignitosa per la notte e dopo un tramonto da brividi mi regalo una scorpacciata di pesce fresco. Come prima giornata non potevo chiedere di più, ma come mi anticipa Lucio, il meglio deve ancora venire. Curioso, non mi resta che aspettare. Dopo una abbondante colazione mi rimetto in sella e torno sui miei passi fino alla FV-605. Dopo una decina di chilometri in direzione sud ecco il Mirador Astronomico de Sicasumbre; il sole non è ancora alto e lo sguardo vaga per il paesaggio primordiale che mi circonda: le valli e le gole color rame danno l’impressione di essere atterrati su Marte.
La strada prosegue tra veloci curve fino ad arrivare alla minuscola località di Pared, meta molto ricercata dai surfisti. A piedi raggiungo la Punta de Guadalupe, una lunga piattaforma rocciosa che si prolunga nell’oceano. Dopo la prima caña (birra alla spina) del giorno attraverso l’istmo che mi porta sulla costa orientale e dopo Costa Calma ecco apparire Playa de Sotavento de Jandia. Trattasi di una serie di spiagge spettacolari tra cui Playa de la Barca dove annualmente si svolge una tappa del campionato del mondo di windsurf. La spiaggia di finissima sabbia bianca è immensa in queste ore di bassa marea e si insinua quasi impercettibilmente tra le acque turchesi del mare. Sono nella Peninsula de Jandia, gran parte della quale protetta nel Parque Natural de Jandia, nell’estremo sud di Fuerteventura.
Mi fermo a Morro Jable, molto frequentata da turisti tedeschi e con una bella spiaggia dorata di 4 chilometri, Playa del Matorral. Da qui parte uno sterrato in ottime condizioni di circa 20 chilometri: si supera un passo poi si scende con curve strette, dirupi e nessuna barriera di protezione. Bisogna essere prudenti ma si è ripagati da una delle spiagge più remote e spettacolari delle Canarie: immensa, deserta, con sabbia color miele e acque turchesi. È Cofete, uno spettacolo davvero mozzafiato.
Raggiungo poi il Faro di Punta de Jandia, il punto più a sud dell’isola da dove inizio la lunga risalita seguendo la costa orientale. Percorro una noiosa arteria a due corsie per ogni senso di marcia finanziata dall’Unione Europea e dopo un’ottantina di chilometri devio per Pozo Negro, uno dei villaggi di pescatori rimasti più autentici. Dopo uno spuntino a base di pimientas del padron (peperoni fritti) e vino rosso servito rigorosamente freddo, riparto per il nord, attraversando ora zone molto trafficate e urbanizzate: Caleta de Fuste, l’aeroporto e il capoluogo Puerto del Rosario. Seguendo la FV1 attraverso il Parque Natural de Corralejo, 10 chilometri di dune e di spiagge ventose prese d’assalto dai principianti del surf. E sullo sfondo l’inconfondibile silhouette dell’Isla de Lobos, una di quelle escursioni considerate imperdibili. E dopo due giorni e oltre 300 chilometri sono di ritorno a Corralejo e a malincuore devo restituire la moto. Che dire!?! Non amo il surf, non parlo solo di Fuerteventura, non sono in pensione, non sono un nomade digitale (al limite un nomade analogico), non ho il camper, non sono un hippy e non ho un cane; non so a quale categoria appartenga ma ormai “Fuerte” mi ha stregato e credo ci rimarrò ancora a lungo.
IL LIBRO DI RICCARDO DA NON PERDERE:
https://www.alpinestudio.it/home/228-una-vita-in-viaggio.html